[…] Dieci poesie scritte in un mese / non è molto anche se questa / sarebbe l’undicesima.
Neanche i temi poi sono diversi / anzi c’è un solo tema / ed ha per tema il tema, come adesso.
Questo per dire quanto / resta al di qua della pagina / e non può entrare, / e non deve. La scrittura / non è specchio, piuttosto / il vetro zigrinato delle docce, dove il corpo si sgretola / e solo la sua ombra traspare incerta ma reale.
E non si riconosce chi si lava / ma soltanto il suo gesto.
Perciò che importa / vedere dietro la filigrana, / se io sono il falsario / e solo la filigrana è il mio lavoro.
Scivola la penna / verso l’inguine della pagina, / ed in silenzio si raccoglie la scrittura. Questo foglio ha i confini geometrici / di uno stato africano / in cui disegno / i filari paralleli delle dune.
Ormai sto disegnando / mentre racconto ciò / che raccontando si profila. È come se una nube / arrivasse ad avere / forma di nube.
[…]
Valerio Magrelli, Ora serrata retinae, 1980
Il margine frastagliato della vista (possibile traduzione letterale di Ora serrata retinae) è il luogo in cui inizia la percezione: il mondo esterno viene percepito attraverso l’interiorizzazione della vista, nella soglia dell’occhio. Per Magrelli, nel 1980, ciò significa aprire al processo interiore che porta alla scrittura; per Alberto Scodro, nel 2021, il confine dell’occhio e del visibile restano il punto di partenza per costruire un’opera che non abbia altra sembianza che se stessa. Il Pozzo sanitario che Scodro crea non è nulla di diverso dal titolo: è un pozzo composto di parti di sanitari. Eppure, se ci addentrassimo nel campo della percezione, ecco allora che il senso più ultimo e vero del lavoro di Scodro risulterebbe ancora più chiaro. Scodro, in collaborazione con AeT Italia, ha usato una serie di pezzi di sanitari e, in particolare, proprio tutte quelle parti interne, solitamente non visibili. Il buio del pozzo accarezza le pareti interne, la luce dell’esterno rischiara ciò che solitamente è in ombra. Vediamo ciò che è. Un pozzo fatto di parti di sanitari. Eppure ciò che vediamo non è riconducibile immediatamente al sanitario perché guardiamo parti che non conosciamo. Se Duchamp aveva dato vita all’arte contemporanea cambiando il senso di un orinatoio con il titolo Fontana, ecco che qui Scodro riparte proprio dal sanitario per dare vita a un pozzo. Il salto non è più solo concettuale, però: l’artista taglia e sceglie le parti. Molto lontano dall’idea di ready made, Scodro manipola l’oggetto di partenza fino a renderlo non più riconoscibile. Ciò che rimane delle parti non è più la forma, e nemmeno la funzione. Tutto si ribalta nel farlo, nel “raccontarlo”. Il risultato finale è un pozzo che arriva a prendere la forma di un pozzo, per parafrasare Magrelli.
Un pozzo costruito con gli scarti, come spesso accade nel lavoro di Scodro – da anni attento nel dare nuova vita a materiali di recupero mediante complessi processi tecnici. Un fare che prende vita proprio in un capannone industriale a Nove, dove i materiali ceramici diventano il punto di partenza per sperimentazioni alchemiche, per stravolgimenti in cui il cambio di forma e stato generano i movimenti finali dell’opera.
Coinvolgere Alberto Scodro all’interno del programma del 2021 può sembrare quasi un paradosso: perché invitare in residenza un artista che già abita nel territorio? La risposta che ci siamo dati è stata alquanto semplice: la Residenza Le Nove vuole lavorare su un senso di apparenza e costruzione di comunità. Per questo si possono invitare dei personaggi “foresti” all’interno delle realtà produttive della zona (come nel caso di Chiara Camoni), oppure si può lavorare con artisti che vivono nella zona, ma stabilendo nuovi rapporti di dialogo con il territorio. Questo perché l’anno pandemico appena trascorso ha messo in luce la scarsa sostenibilità di grandi città-centro e fatto ripensare le possibilità della provincia italiana. Ciò che Alberto Scodro è riuscito a mettere in luce con questo lavoro è la possibile relazione con un territorio produttivo che non diviene solo supporto tecnico, ma sostanza stessa dell’opera. I sanitari della AeT Italia non sono quindi uno degli elementi possibili dell’opera, ma sostanza stessa. Con il suo pozzo Scodro reinterpreta la realtà produttiva dell’azienda e scorge nuove possibilità per una comunità (a cui restituisce un’opera collocabile all’esterno). Il suo lavorare attorno al limite del visibile, restituendo luce alle parti solitamente buie, è un contro-canto ideale al pavimento di Chiara Camoni: un prato dove poter essere eternamente presente, dove rinunciare al protagonismo della mano, all’unicità del segno-decoro. Niente è se non nel suo insieme, nel suo essere parte di una comunità. Una comunità che con quest’opera viene sollecitata, con l’introspezione, a riconoscere la necessità di una libertà creatrice che possa dare nuova linfa alle tradizioni e alle produzioni. Per poter imparare a guardare di nuovo.
— Irene Biolchini
Le Nove Residenze d’Artista
è un progetto Ceramic Pavilion in collaborazione con Le Nove hotel
artista
Alberto Scodro
opera
Pozzo sanitario
curatela e testo critico
Irene Biolchini
organizzazione
Emanuel Lancerini
con il supporto di
AeT Italia
fotografie
Giulia Madiai
progetto grafico
Hstudio.it