Inside the Mirror
Monia Merlo photographer
‘Attraverso uno specchio e per enigmi’: la fotografia di Monia Merlo sembra coagularsi attorno a questi due poli. Le donne che vi vengono ritratte sono altrettante immagini proiettive dell’autrice, suoi ‘specchi’ appunto; e sono immagini che riflettono un enigma, che rimandano – agli occhi dello spettatore – il mistero che le avvolge.
Il breve percorso della mostra cerca di indagare questo mistero, e contemporaneamente di condurci in un viaggio nell’introspezione.
Un senso di abbandono sembra aleggiare sulle figure femminili che incontriamo: le fotografie di Monia ritraggono donne ripiegate su loro stesse, malinconiche e lontane, inserendole in ambientazioni che amplificano il senso di solitudine; l’unica altra figura appare all’inizio, come un’ombra – un negativo che cinge e trattiene la donna – ma è destinata a dissolversi.
Tra edifici dismessi, muri corrosi dal tempo, oppure spazi aperti ma vuoti, dove l’unica presenza è quella delle protagoniste, prende forma il percorso di ricerca dell’autrice che si interroga sul tema dell’identità: come nel ciclo delle Ofelie. Donne che, nell’avvicendarsi di vita e morte, accettano di scomparire per poter riemergere; che accolgono la catarsi della morte per acqua, per ritrovarsi vive e nuove nella rinascita.
Quello dell’autrice appare come un accurato lavoro di sottrazione, non solo nella scelta delle locations, ma anche nell’inserimento degli oggetti: una sedia, una finestra, dei fiori, uno specchio. La fotografia sembra voler spogliare la scena che ritrae da ogni orpello inessenziale, lasciando voce a pochi elementi significativi.
One need not be a Chamber—to be Haunted—
One need not be a House—
The Brain has Corridors—surpassing
Material Place—
Sembra che Monia abbia mandato a memoria questa lezione di Emily Dickinson: depurati gli spazi, tolti gli oggetti, fragili figure femminili, le protagoniste delle sue foto, vi abitano come entro luoghi di raccoglimento, spazi della mente e del cuore.
Sono i moti dei loro corpi a rivelarcelo ulteriormente: donne che si portano le mani al volto, le braccia attorno al busto, o guardano attonite da una finestra.
L’apparente semplicità di gesti e luoghi non deve trarre in inganno: l’autrice predispone attentamente ogni dettaglio, consapevole che ‘il meno è di più’, forte anche della sua conoscenza dell’architettura, che si dispiega nell’equilibrio dei volumi, nella composizione e nel muto dialogo tra questi.
Prima di materializzarsi, le foto attraversano una fase progettuale, fatta di immagini ideate nella mente, persino di schizzi, a volte. Anche la luce e il colore vengono piegati a questo scopo: la luce erompe spesso, drammaticamente, a enfatizzare i dettagli, a dare profondità e plasticità alla figura, che ne emerge rischiarata come sulla scena di un teatro. Il colore stesso perde i suoi connotati realistici: viene desaturato, elaborato per accentuare la componente pittorica delle foto, contribuendo alla sensazione di sospensione che domina le figure femminili ritratte.
Tuttavia tra il progetto e la realizzazione si insinua spesso uno scarto: come se la costruzione razionale che l’artista ha immaginato dovesse scendere a compromessi con una componente inconscia, fatta di memoria e vissuti.