6 settembre — 6 ottobre 2024
Le Nove hotel
Grado zero della ceramica.
Per Arthur Duff la ceramica non ha nessun valore funzionale o pratico ma è utilizzata come materiale che si fa supporto alla pittura.
Una pittura caratterizzata da paste cromatiche dense e materiche che vengono poste sulla superficie ceramica evidenziando la loro natura plastica e non uniforme, simile ad una incrostazione.
Ceramica e pittura, in una ricerca aperta e in divenire, coesistono forzatamente e intimamente dando vita ad un rapporto dialettico che ne sottolinea le peculiari caratteristiche.
La ceramica è proposta in forme tubolari ottenute attraverso un’azione meccanica, sono infatti create con la trafila, macchina che permette la realizzazione di manufatti con geometrie non complesse ed a sezione costante. Il processo non è complicato: l’impasto allo stato plastico viene spinto, spremuto contro un ugello che permette di determinare le dimensioni e le forme della materia estrusa. In questo caso, il corpo estruso tubolare viene tagliato e asciugato a dare la lunghezza voluta. Si passa quindi alla definizione del colore di base e alla sua cottura. Con la scelta di questo procedimento, che rimanda ad una lavorazione industriale, Duff rifiuta qualsiasi coinvolgimento manuale nell’utilizzo del medium ceramico. Le forme sono il risultato di un atto meccanico che implica un distacco dal puro gesto creativo puntando invece alla diretta visualizzazione dell’oggetto ottenuto che deve mantenere il suo statuto di semplice oggetto nella sua forma, nel suo colore, nelle sue dimensioni e in rapporto con l’ambiente in cui è inserito.
Sulle superfici, rigide e cilindriche, degli elementi in ceramica, che si presentano nel loro andamento lineare, l’artista interviene con una pittura densa e materica che si deposita e si sedimenta evidenziando il suo carattere magmatico.
Si genera così un netto e affascinate contrasto. Su questi elementi lisci, tondeggianti e tridimensionali (siamo ben lontani dalle tradizionali superfici pittoriche), che riflettono la luce, si abbarbica il colore-materia offrendosi alla vista (e al tatto) nel suo stato ruvido e scabroso, caratterizzato da escrescenze e colamenti che trattengono o riflettono la luce secondo la posizione dell’osservatore. Alla fissa stabilità delle forme tubolari si contrappone l’instabilità dinamica del colore manipolato con gesti delicati come una carezza o bruschi e quasi infuriati.
Queste opere tridimensionali vanno addossate alla parete e poste in verticale. La fisicità ostentata del colore, che sembra sfidare la forza di gravità, diviene materia viva che ricopre, in parte, la ceramica, evocando e trattenendo le sensazioni più labili, le impressioni più fugaci.
In sostanza, è la fisicità dell’opera che viene messa in evidenza e non il suo contenuto significante.
La forma tubolare in ceramica viene impiegata da Duff anche per la realizzazione di altre opere che si presentano come composizioni date dall’accostamento di unità singole che vengono agganciate a perni infissi nel muro. In questo caso la forma cercata non è lineare ma curvilinea ottenuta contornando un corpo solido che ha l’unica funzione di determinare lo sviluppo spaziale della materia serpentina. Questa presenza solida viene evocata dal vuoto attorno a cui, idealmente, si avvolge la materia ceramica. Questi pezzi, caratterizzati da cromie non accese e dal loro andamento attorcigliato, vengono appesi a perni uno dopo l’altro in una sequenza voluta e cercata dall’artista. Separati l’uno dall’altro e staccati dalla parete, tali pezzi sospesi, possono essere variamente composti, e si presentano in un costante stato di tensione, rivelando sempre il processo della loro realizzazione, minacciando sempre di sbilanciarsi. Ogni singolo lavoro, pur mantenendo la sua autonomia formale, contribuisce ad un risultato d’insieme generale, risultato finale di una stabilita combinazione.
All’interno di alcuni tubi viene fatta passare una corda che completa e continua la forma cercata, ma data la diversa composizione materica la corda sovverte la rigidità della ceramica e in base al suo peso e alla forza di gravità, si sviluppa nello spazio in modo più libero e imprevedibile. Nelle varie combinazioni proposte di questi elementi minimali e astratti non manca un tubo neon, in vetro soffiato, che con la sua luminosa trasparenza e fragilità dialoga, per contrasto, con la solidità materica della ceramica.
Duff focalizza la sua attenzione sul processo di composizione dell’opera. Il fare arte diventa un percorso creativo, un rituale, un processo appunto, piuttosto che la realizzazione di un prodotto finito.
—Giovanni Bianchi
È un evento
Ceramic Pavilion
a cura di
Emanuel Lancerini
Serenella Targa
testo critico
Giovanni Bianchi
fotografie
Lorenzo Ceretta
video
Fabio Tabacchi
progetto grafico
Hstudio
tutor
Luigi Bertolin
Mauro Bortoli
con il patrocinio di
Comune di Nove